Global Visual Poetry

QUALI POETICHE PER LA SPERANZA?

 

Sembrerà poco plausibile, ma ciò che mi ha condotto alla  Visual Poetry è stata la Bibbia.

Se a un dato momento non mi fossi interessato alla storica traduzione della Bibbia di Gerusalemme, forse non sarei arrivato al nome di un benedettino di nome Dom Sylvester Houédard Osb, il quale per un periodo ne fu l'

editor letterario. Che questo monaco sia stato un teologo attivissimo, formatosi al Pontificio Ateneo di Sant'Anselmo a Roma, e allo stesso tempo uno dei principali teorici e interpreti della Visual Poetry, è stata per me una scoperta di grande impatto. Ma anche un altro ex allievo del Pontificio Istituto Biblico, autore di una personalissima versione della Bibbia – mi riferisco naturalmente a Emilio Villa –, ha realizzato uno dei percorsi più stimolanti e innovativi in questo campo artistico. Ora, questo legame tra produzione contemporanea e tradizioni antiche non è frutto del caso. Direi addirittura che una delle caratteristiche centrali del movimento della Visual Poetry è stata l'insistenza sull'importanza della ricerca approfondita delle fonti, dal punto di vista tanto accademico come artistico, non tanto per dissipare il dilemma teologico se «in principio erat Verbum vel Imago», ma per spiegare che non esiste propriamente un confine tra arti della parola e arti dell'immagine. La natura grafica della parola scritta fa in modo che essa sia, prima di tutto, disegno (cosa a cui abitualmente non pensiamo), al punto da poter alterare la semantica che si presumeva stabile di una parola e di aprirla continuamente ad altre, combinando leggibilità e illeggibilità. Penso, a questo proposito, alla serie di opere che Bruno Munari ha intitolato Scritture illeggibili di popoli sconosciuti.

I creatori della Visual Poetry ci ricordano che nella scrittura umana più funzionale, nella nostra scrittura misurata, minuscola o amministrativa, pulsa la possibilità poetica che

illeggibile come la tigre», e cioè documento non della risposta ma della domanda; non dell'evidenza, ma dell'enigma; non solo prevedibile morfema del visibile, ma dirompente sintassi di ciò che non si vede. È quello che spesso spiegava Dom Sylvester Houédard: «Ogni cosa materiale è una rivelazione dell’invisibile».

In tal modo, la scelta che fa la Visual Poetry di partire dalla riutilizzazione dei nostri repertori iconografici e lessicali più banali, il carattere dichiaratamente sperimentale della sua proposta,

la elementarità dei supporti effimeri su cui lavora rappresentano una presa di posizione morale. Posizione che potremmo descrivere come ironica, poiché impegnata nella critica sistematica alle ideologie del consumo; ma anche irenica, poiché «esto visibile parlare» (secondo l'azzeccata espressione di Dante) ci invita a uno sguardo più umano, speranzoso e largo.

Una parola di sentita gratitudine a Raffaella Perna, curatrice di questa storica iniziativa.

E a Simone Frittelli, che all’idea si è appassionato sin dal primo momento.

 

Card. José Tolentino de Mendonça