INTERVENTI

"Con i miei occhi". Discorso all’inaugurazione del Padiglione della Santa Sede alla LX Biennale d’Arte di Venezia

interventi ‒ 24 aprile 2024

Confesso che avevo pensato ad un discorso prima di vedere il risultato finale del Padiglione, basandomi sui presupposti concettuali che avevamo discusso all'inizio e sull'accompagnamento a distanza dello svolgimento del progetto. Ma quando sono entrato nel Padiglione, a lavori conclusi, quando ho fatto una visita guidata con una delle signore qui detenute, mi sono reso conto che le mie parole si dovevano trasformare. Quelle che avevo portato con me suonavano astratte. Fuori luogo. Non erano in dialogo con la realtà che avevo potuto toccare "con i miei occhi".  E mi sono reso conto che la realtà mi stava dando una lezione, confrontandomi ancora una volta con il principio che Papa Francesco non si stanca mai di sottolineare: "La realtà è superiore alle idee". Se è così, quando si esce da questo padiglione abbiamo bisogno di parole nuove, diverse da quelle con cui si siamo entrati, in una operazione che non è un semplice esercizio retorico, un aggiustamento stilistico in qualche misura prevedibile, ma qualcos'altro. Ma quali sono le parole nuove che ci richiede dunque questa esperienza? Chiunque viaggi in questo percorso usando i propri occhi contribuirà a trovarle. Per quanto mi riguarda, sono tre le parole suscitate da quello che visto: reciprocità, opportunità e trasformazione.

 

Perché reciprocità? Vorrei qui rivisitare la domanda che il filosofo Franz Rosenzweig si poneva in un momento drammatico della storia umana, come la Prima Guerra Mondiale. Il pensatore tedesco si chiedeva infatti se, prima della fiducia nella ragione, che è alla base di ogni sistema filosofico e politico al governo della società, non ci sia una fiducia previa, di cui è urgente la riscoperta. Non dovremo riattivare la fiducia nei legami: quella nuda esperienza di reciprocità in cui, umilmente ma intensamente, si esprime la fiducia di un essere umano in un altro essere umano? Non dovremo forse riconoscere che la fiducia nelle idee che possono eventualmente cambiare il mondo può scaturire solo da un'esperienza previa di fiducia reciproca che cambia effettivamente il cuore di tutti?

 

Sono convinto che il programma propostoci dalla parola "reciproco" è una strumentazione di bordo necessaria a farci navigare nel presente e in direzione del futuro. Il termine latino reciprŏcus lo spiega bene, mettendo in relazione due componenti: ciò "che sta indietro" (recus) e ciò "che sta innanzi" (procus). Sapersi reciproci implica questo andare e venire, non la fissazione su una parte; richiede una pratica di circolarità, uno scambio libero e creativo, non l'isolazionismo. Instaura un tempo di ascolto empatico e di incontro, invece di far trionfare l'esclusione, le disuguaglianze  o i muri. Reciproco è anche il termine usato da Gesù quando propone di porre il comandamento dell'amore al centro della vita sociale: "Amatevi gli uni gli altri", reciprocamente.

Tra le carte lasciate da Leonardo da Vinci si trovano degli appunti sulla fabbricazione di "strutture reciproche", forme costruttive agili e altamente versatili, utilizzabili come riparo da chi deve viaggiare o dormire all'aperto. È una metafora illuminante di ciò che siamo chiamati a fare in tempi di emergenza come quello che stiamo vivendo.

Inventare "strutture reciproche", esperienze di reciprocità, è oggi un compito cui è chiamata l'arte contemporanea, in uscita dai suoi circuiti abituali. E lo stesso vale per le istituzioni, per gli Stati come per la Chiesa.

 

La seconda parola è opportunità. Fin dal primo momento, le autorità nazionali e locali italiane responsabili del Carcere Femminile dell'Isola della Giudecca hanno visto in questo progetto senza precedenti, un padiglione della Biennale costruito all'interno di una prigione in funzione, una opportunità positiva per questa comunità femminile. Perché attraverso questo progetto si riscatta da quella condizione di periferia culturale che di solito caratterizza una realtà di questa natura, ascoltando e valorizzando le ospite del carcere come protagoniste di un'esperienza che le rappresenta ma che allo stesso tempo, attraverso le loro parole, diventa esperienza di tutti. Questo aspetto è un dato di fatto, ed è forse il risultato più importante di questa iniziativa. Ma mi preme sottolineare che questo progetto rappresenta è anche un'opportunità per istituzioni diverse di collaborare insieme. Ed è, infine, anche un'opportunità per destabilizzare l'arte contemporanea, che trae vantaggio dall'essere destabilizzata, ed è pronta a farlo, come dimostrano i curatori e gli artisti che hanno accettato di dare corpo al Padiglione della Santa Sede, ai quali sono profondamente grato.

 

L'ultima parola è trasformazione. Nel corso della mia prima visita, una persona mi ha detto una cosa che non posso dimenticare: "Le opportunità esistono", ha osservato, "ma devono poter essere colte. E a volte capita che l'opportunità si presenti il lunedì, ma io non ero pronto, perché non lo sarò fino a martedì o venerdì. E così l'opportunità del lunedì sembra perduta." In effetti, la trasformazione non è un affare né di automatismi né di ingenuità. Il pensiero cristiano riconosce in essa un intervento della Grazia. Il laico ritiene vi ravviserà eventualmente la coincidenza di fattori di crescita esterni e interni. L'artista la penserà piuttosto come un incontro della dimensione dei sensi e della coscienza in grado di produrre una metamorfosi dello sguardo. L’importante è che crediamo tutti che la trasformazione – la nostra e quella del mondo - è possibile. Anche se è ardua e dolorosa, è possibile. Quando guardiamo e ci lasciamo guardare con benevolenza, avviene questo grande miracolo che è la comune tessitura della speranza.

 

Ringrazio tutti coloro che hanno reso possibile che accadesse ciò che stiamo vivendo in questo momento, in questo luogo. Grazie a coloro che hanno creduto in questo progetto e hanno dato il meglio di sé. Grazie alle autorità italiane del Ministero della Giustizia, nazionali e locali, nella persona del ministro Carlo Nordio. Al ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano. Al ministro della Cultura del Portogallo, Dalila Rodrigues. Alla Presidenza della Biennale, nelle persone del neopresidente Pietrangelo Buttafuoco e del già presidente Roberto Cicutto. Al Patriarcato di Venezia, nella persona del suo Patriarca, Francesco Moraglia, che ha accompagnato la realizzazione di questo progetto con impegno e amicizia costanti. Al sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro. Al nostro principale partner, la Banca Intesa Sanpaolo. A coloro che hanno coordinato la produzione del Padiglione, al Comitato Promotore e a COR Aquitectos, in particolare l'Arch. Roberto Cremascoli e Flavia Chiavaroli. Alla meravigliosa Irma Boom. All'intelligenza altissima, acuta e affettuosa dei curatori Bruno Racine e Chiara Parisi. Veramente Bruno e Chiara, voi siete i migliori fabbri. Alle opere indimenticabili condivise con noi dagli artisti che hanno accolto questa proposta. Cari Maurizio Cattelan, Bintou Dembelé, Claire Fontaine, Simone Fattal, Sonia Gomes, Corita Kent, Marco Perego & Zoe Saldana e Claire Tabouret, voi siete maestre e maestri di una speranza necessaria. E Alla fine alla comunità presente in questo carcere. Ad essa voglio assicurare che ce ne sentiamo reciproci. Infatti non siamo condannati ad essere "stranieri ovunque", ma possiamo riconoscerci fatti dalla e per la reciprocità.

Venezia, 19 aprile 2024