Quale teologia per il nostro tempo?
Eminenza Reverendissima, Gran Cancelliere, il Cardinale Josep Omella Omella, Arcivescovo di Barcellona.
Autorità ecclesiastiche, accademiche e civili.
Signore e Signori.
È per me una grande gioia tornare in quest'Aula Magna, in vostra compagnia, questa volta non per partecipare all'ennesima Giornata di Studio, organizzata dall'instancabile e brillante Prof. Armand Puig i Tàrrech, ma per prendere parte a un evento che giustamente gli rende omaggio. Sono passati quasi vent'anni da quando l'ho incontrato per la prima volta. Ho preso l'iniziativa di contattarlo perché all'epoca era responsabile della pubblicazione in Portogallo di quella che è la più antica traduzione della Bibbia in lingua portoghese. Sono entrato in contatto con l'eccellente lavoro del prof. Puig - in particolare il Corpus Biblicum Catalanicum - e ho pensato che sarebbe stato senza dubbio molto utile saperne di più sui progetti che stava coordinando. Ricordo quel primo dialogo e l'impressione che mi lasciò quest'uomo appassionato della Parola di Dio e del compito di trasmetterla. In seguito, ricordo di averlo incontrato a Lisbona in occasione della pubblicazione del suo libro Jesús. Un profilo biografico. Da allora non abbiamo mai smesso di comunicare. In questi andirivieni, in queste collaborazioni portoghesi e catalane, non so esattamente quando siamo diventati amici, e anche questo è un segno di vera amicizia. Lo scrittore Maurice Blanchot ne parla, parlando della sua amicizia con il filosofo Emmanuel Lévinas. Racconta che si incontrarono diverse volte e che ci fu un momento in cui si resero conto di essere già amici. E Blanchot scrive: "eravamo amici e non lo sapevamo". Ecco, la mia amicizia con Armand è stata un po' così.
Ho ora il privilegio di incontrare più spesso Armand Puig, nella sua veste di Presidente dell'Agenzia della Santa Sede per la Valutazione e la Promozione delle Università e delle Facoltà Ecclesiastiche, e posso constatare che l'esperienza accumulata nella direzione di questo Ateneo gli conferisce l'intelligenza e la passione necessarie per svolgere con competenza questa importante missione. È quindi con grande piacere che mi unisco al giusto e opportuno omaggio che gli è stato reso oggi.
Anche a nome del Dicastero per la Cultura e l'Educazione, vorrei ringraziarvi per aver risposto alla chiamata del Santo Padre e per aver servito la Chiesa universale assicurando la qualità delle sue istituzioni accademiche impegnate nel lavoro teologico. Permettetemi, in questa occasione, di dire, senza pretese, qualche parola sulla pratica teologica, che è una sorta di legame che ci unisce tutti.
Abbiamo ancora bisogno della teologia?
La domanda: "Quale teologia per il nostro tempo?" rischia oggi di diventare una domanda ancora più radicale: "Abbiamo ancora bisogno della teologia? Il fatto è che oggi la necessità della teologia è talvolta messa in discussione ad extra e ad intra: la società secolare non ha fiducia in una ricerca della verità che presuppone la propria verità; in cui la verità è pensata sia come punto di partenza che come punto di arrivo. Nella comunità ecclesiale, invece, c'è chi, da un lato, pensa che aver accolto la verità significhi possederla, esserne padroni, e dall'altro chi crede che la verità cristiana possa essere testimoniata solo come intervento pratico, politico nel mondo, senza bisogno della mediazione sacerdotale della sua trascendenza, della custodia della sua sacralità.
Per alcuni la verità è solo insegnata, come un pacchetto di conoscenze indiscutibili e immutabili; per altri la verità è accessibile solo nell'azione e non, complementarmente, nel lento e paziente percorso di un esercizio integrativo.
Pressata da questa posizione di scetticismo, esterno e interno, laico ed ecclesiale, la teologia rischia di indebolirsi, e con essa la Chiesa e la società. Sono infatti profondamente convinto che non c'è evangelizzazione senza teologia. La società non ascolterà l'annuncio della Parola, la Chiesa non sarà in grado di portare la Parola a tutti gli uomini, se la missione di evangelizzazione non si svolge nella dinamica di quel peculiare doppio movimento teologico che è pensare la Parola di Dio alla luce della storia degli uomini e pensare la storia degli uomini alla luce della Parola di Dio.
Ma la stessa teologia è oggi chiamata a ripensare se stessa. Lo afferma Papa Francesco nella recente Lettera apostolica Ad theologiam promovendam: "Per promuovere la teologia [...] non possiamo limitarci a riproporre, in modo astratto, formule e schemi del passato. Chiamata a interpretare profeticamente il presente e a immaginare nuovi itinerari per il futuro, alla luce della Rivelazione, la teologia dovrà affrontare profonde trasformazioni culturali, consapevole che: "Quella che stiamo vivendo non è semplicemente un'epoca di cambiamenti, ma un cambiamento d'epoca" (Discorso alla Curia romana, 21 dicembre 2019)" (n.1).
La crisi della trasmissione
In realtà, la crisi della teologia ha a che fare con la più ampia crisi della trasmissione. Come è evidente, non ho soluzioni per un problema di enormi proporzioni: nessuno di noi individualmente, solo la comunità ecclesiale nel suo insieme, sotto la guida di Cristo, suo Buon Pastore, potrà trovare una risposta, una via d'uscita da questa crisi. Tuttavia, credo che dobbiamo sempre tornare al Vangelo per capire chi siamo e cosa ci viene richiesto. Non riusciremo a capire cosa significhi essere teologi - interpreti del tempo di Dio nel tempo e nell'esperienza degli uomini - senza una piena comprensione di cosa sia l'erudizione teologica secondo il Vangelo. Sono tante le pagine del Nuovo Testamento che ci offrono un buon punto di partenza. È il caso, ad esempio, delle istruzioni date ai Dodici in occasione della loro prima missione come apostoli, cioè come teologi del Kerigma cristiano (Mc 6,6-13; Mt 10,5-15; Lc 9,1-6; 10,1-11). A ben guardare, le istruzioni di Gesù definiscono la missione di trasmettere la buona novella come un compito teologico di esplorazione e inculturazione.
Papa Francesco lo chiede alla teologia, sfidandola "a un cambio di paradigma [...] che la impegni, innanzitutto, a essere una teologia fondamentalmente contestuale, capace di leggere e interpretare il Vangelo nelle condizioni in cui gli uomini e le donne vivono quotidianamente, nei diversi ambienti geografici, sociali e culturali, e che abbia come archetipo l'incarnazione del Logos eterno, il suo ingresso nella cultura, nella visione del mondo, nella tradizione religiosa di un popolo. Da questo punto in poi, la teologia può svilupparsi solo in una cultura di dialogo e di incontro tra tradizioni e saperi diversi, [...] in dialogo aperto con tutti" (Ad theologiam promovendam, n. 4).
Una vera conoscenza critica e sapienziale
Guardiamo a Gesù: anch'egli "andava per i villaggi intorno, insegnando", ci dice il testo evangelico di Marco (Mc 6,6). L'originale greco ("περιῆγεν τὰς κώμας κύκλῳ διδάσκων") e la traduzione latina ("et circuibat castella in circuitu docens") ci comunicano in modo icastico il fatto che, per Gesù, insegnare non è sedersi su una cattedra e parlare, aspettando che la gente venga ad ascoltare, ma camminare, camminare tra la gente, nella varietà dei luoghi che abitano ("τὰς κώμας"). Insegnare significa, quindi, muoversi dove l'uomo è, dove vive, raggiungerlo nel suo contesto concreto, nella pluralità delle sue espressioni (è spostarsi da un luogo all'altro: transitare, "περιῆγεν"). L'insegnamento è una pratica "peripatetica" (come già sapeva Aristotele), che costruisce una nuova topografia. Purtroppo, spesso perdiamo il senso di questa dinamica dell'insegnamento, del suo essere un movimento e un viaggio. Ecco perché, quando Papa Francesco parla di una Chiesa in uscita, ci sorprende: ci eravamo abituati agli insegnanti come protagonisti di un discorso ex cathedra, mentre insegnare - e insegnare teologia - è scoprire nuove possibilità, creare legami e connessioni ("in circuitu docens").
Come afferma il nostro on. in un articolo sul ruolo della teologia nella società contemporanea: "La teologia ha sempre qualcosa da apportare, ma può farlo solo se entra nei dibattiti intellettuali del momento. Una teologia chiusa nei suoi bastioni e nel suo linguaggio per iniziati rimarrà muta e non avrà alcun impatto sulla cultura" (ISIDORIANUM 31/2, 2022, p.82).
È vero: non c'è evangelizzazione senza teologia, senza questo "uscire" dalla Parola di Dio e dal pensiero umano, per attraversare la storia, decifrarla e riprogettarla. Insegnare teologia non è semplicemente trasmettere una lezione, ma pensare il mondo, visitarlo, progettare ed evidenziare circuiti, continuità, interdipendenze, ponti nella diversità. Il tutto in una prospettiva di autentica sapienza, come propone il Santo Padre: "la necessaria attenzione allo statuto scientifico della teologia non deve oscurare la sua dimensione sapienziale.... La ragione scientifica deve allargare le sue frontiere in direzione della sapienza, per non disumanizzarsi e impoverirsi. In questo modo, la teologia può contribuire all'attuale dibattito sul "ripensamento del pensiero", mostrandosi come un vero sapere critico, come un sapere sapienziale, non astratto e ideologico, ma spirituale, sviluppato in ginocchio, gravido di adorazione e di preghiera; un sapere trascendente e, al tempo stesso, attento alla voce del popolo, quindi una teologia misericordiosamente rivolta alle ferite aperte dell'umanità a cui profetizza la speranza di un compimento ultimo" (Ad theologiam promovendam, n.7).
Raggiungere l'uomo dove si trova
Fare teologia è raggiungere l'uomo là dove si trova, ma è anche stare in casa con lui, essere accolti, ospitati: "Dovunque entriate in una casa, rimanetevi" dice Gesù. Le lingue, i codici culturali, le civiltà sono case in cui la Chiesa si stabilisce, in cui la Parola entra e, una volta accolta, inaugura una permanenza che diventa condivisione esistenziale, un pezzo di vita. Certo, non tutte le espressioni di civiltà sono ospitali per la Parola: può accadere, avverte Gesù, che "in alcuni luoghi non ti accolgono e non ti ascoltano". Dove regna una cultura della violenza, della negazione radicale del bene e della verità, non c'è modo per il teologo di stabilire una relazione. Guerra, malversazione, abusi, oppressione, materialismo radicale e individualismo sono soffitti storici e ideologici sotto i quali il sapere teologico non trova rifugio. Pensare teologicamente al mondo è anche una denuncia profetica del male e una resistenza ad esso. La vera teologia, come ci testimoniano molti martiri del pensiero - ricordiamo nel XX secolo intellettuali di fede come Dietrich Bonhoeffer, Simone Weil ed Etty Hillesum - è un'intelligenza della storia che, in nome dell'amore incondizionato per Dio e per l'uomo, deve dire "no" all'ingiustizia. D'altra parte, come afferma Armand Puig: "il teologo ha la missione di andare in profondità senza lasciarsi trascinare dal disincanto, dall'asepsi o dall'aggressività" (ISIDORIANUM 31/2, 2022, p.77).
Teologia in uscita
Se fare teologia, come compito appassionato e sistematico, significa uscire, mettersi in cammino sulla terra e chiedere ospitalità lì; se praticare la teologia significa affidarsi all'ospitalità della storia, dei linguaggi delle persone, delle loro esperienze e dei loro codici, non si può approfondire la teologia anche oggi senza accettare di "svuotarsi" kenoticamente di un patrimonio assicurativo, di garanzie preventive: "E comandò loro di non prendere per il viaggio altro che un bastone, né pane, né borsa, né denaro nella cintura; ma di calzare sandali e di non portare due tuniche" (Mc 6,8-9) - ci dice Marco.
La teologia in partenza è umile. Avendo "gli stessi sentimenti di Cristo Gesù" (Fil 2,5), la teologia rinuncia allo status di privilegio, alla pretesa di possedere in esclusiva la verità di cui è depositaria e serva (Fil 2,5-8). Non ricorre al passato come strumento di controllo del presente e del futuro. Può portare con sé solo tre ricchezze: la Parola che annuncia; la comunione con la comunità a cui appartiene, la Chiesa ("e cominciò a mandarli a due a due", Mc 6,7); e il bastone che sostiene il suo cammino: simbolo del suo legame con la Tradizione, con il cammino precedente del popolo di Dio, che non è né un possesso né un punto di arrivo in cui fermarsi, ma un viaggio in direzione di quello definitivo di Dio. La teologia tradisce la propria missione se trasforma le sue risorse (la Parola, la Tradizione e l'appartenenza ecclesiale) in un'assicurazione di viaggio, un potere che ostacola, rendendo ciechi al dialogo "all'interno della comunità ecclesiale, e [alla] consapevolezza dell'essenziale dimensione sinodale e di comunione... Il teologo non può non vivere la fraternità in prima persona [...] per arrivare al cuore di tutti" (Ad theologiam promovendam, n.6). In questo modo, conclude Papa Francesco, "la teologia si pone al servizio dell'evangelizzazione della Chiesa e della trasmissione della fede, affinché la fede diventi cultura, cioè ethos sapiente del popolo di Dio, proposta di bellezza umana e umanizzante per tutti" (Ad theologiam promovendam, n. 8).
Il poeta catalano Joan Margarit ha detto in una frase che è una sorta di testamento per lui: "vivere è cercare il luogo dove si può amare". Questo vale anche per la teologia".
Grazie, caro monsignor Armand Puig, per aver aiutato la Chiesa in questa fondamentale sfida contemporanea!
Barcellona, 29 febbraio 2024
Cardinale José Tolentino DE MENDONÇA