INTERVENTI

Il disegno verbale delle intuizioni

interventi ‒ 24 febbraio 2025

Il percorso verbo-visivo di Giancarlo Pavanello

di Mons. Mário Rui de Oliveira per il  Osservatore Romano

 

«Che cos’è Dio? È lunghezza,
larghezza, altezza e profondità»

(San Bernardo di Chiaravalle)

 

Per la mistica ebraica la scrittura e le lettere dell’alfabeto sono “sante”, essendo state tracciate dal dito di Dio sulle tavole della Legge. Uno degli obblighi degli Ebrei era quello di copiare i Rotoli del Pentateuco, secondo norme rigide, che hanno impedito notevoli riforme e innovazioni della grafia. Questa “interiorizzazione” della scrittura era ritualizzato dall’usanza di far mangiare ai bambini, il primo giorno di scuola, delle paste dolci in forma di lettere dell’alfabeto.

In questa scia pure nel mondo arabo e dell’Islam la calligrafia è la più nobile delle arti e la bellezza è percepita solo sotto forma di recitazione poetica del testo sacro o di contemplazione della sua calligrafia. La calligrafia è per l’Islam, secondo Titus Burckhardt, “il corpo visibile della Parola divina”.

Se guardiamo all’Occidente dobbiamo riconoscere che anche in Europa e in Italia, nell’Alto Medioevo, la nascita della calligrafia avviene sotto le stelle del Sacro e del Corpo: i monaci copisti erano ispirati dal désir de Dieu e dall’amour des lettres. Alla calligrafia si accostavano le miniature. Quando un monaco esercita il ministero della scrittura e copiatura, nello scriptorium, questo esercizio (vero e proprio ministero) è allo stesso tempo una attività estetica, creativa e ascetico-penitenziale: la trascrizione dei testi sacri è una ascese (per il ritmo di lavoro, per la necessità di un mantenimento, per la durata di tempo, per la postura corporale) e non è mai lontana dalla preghiera.

Ma con la comparsa degli scrivani “laici”, impiegati della nuova borghesia mercantile, e soprattutto con la nascita della tipografia si opera una vera rivoluzione. La calligrafia diviene un momento a monte del processo di produzione del libro e il calligrafo nel tempo diverrà il disegnatore di caratteri, il grafico. In questa impronta pensiamo a ciò che abbia rappresentato di trasformazione dello spazio e significato alla calligrafia l’invenzione della macchina da scrivere, il telefono, la televisione, i computer, la internet, e più recentemente la intelligenza artificiale, con ciò che rappresenta di minaccia di distruzione o addirittura di morte della scrittura…

Ma sarà la situazione così drammatica? Forse no. E a dimostrare che il rapporto oggi, tra chirografia, calligrafia e nuovi strumenti tecnologicamente avanzati di scrittura non è poi (ancora) così drammatico ecco gli esperimenti di Giancarlo Pavanello.

Ma chi è Giancarlo Pavanello? Nasce a Venezia il 4 aprile 1944, risiede a Milano dal 1978. Ha uno pseudonimo con cui firma tanti dei suoi (numerosi) libri in esoedizione: Carlo Pava. È un artista poeta, un saggista, un amante del Logos.

Nella sua pagina personale (www.giancarlopavanello.com) possiamo leggere una sua breve biografia. Le sue prime poesie sottratte alla distruzione risalgono al 1960 circa, come i disegni all’insegna dell’art brut di Jean Dubuffet [forse mediata attraverso l’ultima produzione di Tancredi Parmeggiani, i “matti”], a poco a poco risolti in tavole informali o pre-alfabetiche.

All’inizio degli anni Settanta matura in senso definitivo la soluzione delle grafie enfatiche, con i testi calligrafici, una sorta di pittura a inchiostro con qualche somiglianza con le lingue ideografiche, dal punto di vista occidentale, come sperimentazioni verbo-visive, una sintesi con la scrittura letteraria alla ricerca della possibilità di un eclettismo delimitato. Rossana Apicella ha parlato di “singlossia” [unione di linguaggi differenti], “scrittura semantica”, “scrittura asemantica”, “scrittura pseudo-asemantica” [una sorta di palinsesto in cui un testo verbale viene sovrapposto a un testo verbale rendendolo incomprensibile in parte o in tutto ma in realtà nella chiarezza delle formulazioni mentali dell’autore neo-amanuense] per caratterizzare la sua arte.

Il suo primo riferimento editoriale è il volume “epigrammi scritti con una penna di pavone”, Geiger, gennaio 1976. Con questa sorta di editio princeps dei primi testi calligrafici Giancarlo Pavanello esce dall’isolamento e si vede inserito nel contesto internazionale della “poesia concreta”, della “poesia visiva”, della “poesia totale”, della “nuova scrittura”, secondo le formule di altri autori, tuttavia distinguendosi puntando sul testo poetico, visualizzato, breve, laconico, non senza allusioni all’haiku giapponese, a poco a poco sviluppandosi in senso cromatico, sempre preferendo un percorso personale e svincolato dai raggruppamenti rigidi.

In particolare, inoltre, dall’inizio ha insistito sull’intuizione e sulla scelta, accolta con esclusività, del volume in esemplare unico e rilegato, in sostituzione del quadro, in seguito genericamente definito “libro d’artista”, e degli oggetti, da un primo allestimento pubblico nel 1975 fino alla mostra personale, “esibizione bibliografica”, Milano, Avida Dollars, 1989, quando ha deciso una svolta presentando su parete anche alcuni disegni e grafismi giovanili, incorniciati.

Nonostante il fatto di considerarsi agnostico, Giancarlo Pavanello ha voluto accettare la sfida di preparare una personale Via Crucis del Logos per celebrare il suo ottantesimo genetliaco. Il risultato è una opera sconvolgente ed eccezionale, colma di passione, con una scrittura inquietante e profondamente mistica, in cui il Logos è il Verbo, la scrittura, la poesia che salverà il mondo. La Via Crucis del Logos può essere adesso contemplata nella mostra Global Visual Poetry, curata da Raffaella Perna, all’interno del Dicastero per la Cultura e l’Educazione in occasione del Giubileo degli artisti.

 

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