Inferni oscuri e paradisi luminosi
«Buchi bianchi. Dentro l’orizzonte» di Carlo Rovelli
di Carlo Maria Polvani
I libri di Carlo Rovelli sono dei best-seller di divulgazione scientifica dalle tantissime qualità. Una delle più salienti essendo l’uso di narrativi dal sapore esistenziale per contestualizzare ed esprimere formulazioni concise e precise di concetti scientifici complessi e articolati. L’ultima opera dell’Ordinario all’Università d’Aix-Marseille, “Buchi bianchi” (Piccola Biblioteca Adelphi N. 789, 2023), non fa eccezione ed è destinata a riscuotere successo presso il pubblico. Ma quello che la rende peculiare è di essere molto personale, in quanto rappresenta una testimonianza del cammino di ricerca intrapreso dal fisico italiano sin dai suoi studi giovanili. Per capire meglio questo percorso, si potrebbe ricordare come alcuni aspetti del sapere scientifico si siano evoluti al punto da spingere ricercatori del calibro di Rovelli a investigare l’esistenza di putative realtà dette “buchi bianchi”.
Le leggi della meccanica classica elaborata da Newton inquadrano i parametri fondamentali del moto (traiettoria, velocità, accelerazione) nei termini tridimensionali dello spazio (altezza, lunghezza e larghezza). Gli strumenti matematici soggiacenti alla visione newtoniana fanno uso del ben noto calcolo infinitesimale (derivate e integrali), elaborato dallo stesso Newton e da Leibnitz. La teoria della relatività sviluppata da Einstein, invece, considera il tempo non come una costante unidirezionale ma come una variabile; l’universo è quindi concepito nel quadro di un “spazio-tempo” declinato in quattro dimensioni. Le equazioni sottostanti a tale concezione crono-topica sono così complesse, che persino Einstein dovette essere aiutato da alcuni matematici nel perfezionarle. Fra questi, spiccò Karl Schwarzschild (1873-1916), le cui equazioni permettono di calcolare la “curvatura” dello spazio-tempo, che misura la forza della gravità esercitata da una massa sferica. Tale equazione, a livello puramente algebrico, manifesta un “punto di singolarità”, che si verifica quando la curvatura raggiunge un valore soglia, poi denominato “orizzonte degli eventi”, tale da permettere alla gravità d’inghiottire tutta la materia e tutta la luce in prossimità, formando così un “buco nero”.
Quando Rovelli era ancora allievo alle Università di Padova e di Bologna, la maggior parte degli astrofisici dubitava che tale fenomeno connesso con l’equazione di Schwarzschild si producesse effettivamente in natura, tanto più che i buchi neri in sé stessi non possono essere osservati direttamente, in quanto la luce non può uscirne.
Ma, vent’anni dopo, furono catturate immagini degli effetti di buchi neri giganteschi situati nella Via Lattea. Tant’è che oggi, si stima che, solo nella nostra galassia, esistano milioni di buchi neri, la cui formazione sarebbe stata causata da altrettanti collassi di enormi stelle su sé stesse. Lo scienziato veronese, forte di queste osservazioni, invita quindi i suoi lettori a un viaggio oltre l’orizzonte degli eventi, facendo vivere loro l’ipotetica esperienza di cadere in un buco nero. Passata tale soglia di non ritorno, infatti, la deformazione dello spazio-tempo fa rallentare il tempo stesso e la gravità trascina ogni cosa, dall’imboccatura larga a mo’ d’imbuto in un passaggio sempre più stretto verso un punto di massima concertazione.
Usando poi la meccanica quantistica – che Planck elaborò per spiegare i comportamenti delle particelle elementari – il filosofo della scienza congettura che il percorso del buco nero possa essere percorso al contrario. Questa speculazione presume appunto l’esistenza di “buchi bianchi”, che sarebbero il fenomeno simmetricamente rovesciato dei buchi neri: dalla concentrazione e con un decorrere del tempo sempre più lungo, la materia e la luce si espanderebbero sempre di più, per essere proiettate fuori in tutte le direzioni.
La proposta del membro dell’Istitut Universitaire de France è da ritenersi emozionante sotto tre aspetti. La prima è che darebbe all’universo una simmetria armonica nella quale il tempo e la materia si raccorcerebbero e si concentrerebbero per poi allungarsi ed espandersi, a cicli alterni. Inoltre, costituirebbe il punto d’incontro di due teorie dominanti della fisica, quella che spiega l’infintamente grande (la relatività) e quella che spiega l’infintamente piccolo (la quantistica). Infine, potrebbe chiarire il fenomeno del big bang in veste di buco bianco prodotto da un colossale buco nero, magari formatosi in un altro universo. Non stupisce quindi che per invitare il lettore in questo suo viaggio teoretico, Rovelli abbia scelto l’analogia della Divina Commedia, iniziando con la discesa in un inferno tenebroso (buco nero) e concludendo con una risalita in un paradiso luccicante (buco bianco).
Sebben tale lirismo sia affascinante, forza è di ammettere, con lo stesso autore, che «dolce-amara è la scienza». Alla fine del libro e nelle note, il ricercatore affronta una delle questioni che forse si oppongono di più alla esistenza dei buchi bianchi. I principi della termodinamica prevedono che qualsiasi processo fisico vada sempre nel senso di incremento dell’entropia (il disordine); e, infatti, non è mai stato osservato un fenomeno dal quale l’entropia totale non ne sia uscita accresciuta. Se i buchi bianchi esistessero e si alternassero simmetricamente ai buchi neri, i principi della termodinamica sarebbero violati giacché il cosmo creerebbe e distruggerebbe, con perfetta efficienza, l’ordine dal disordine.
Nella storia della scienza, l’armonia gradevole desunta da congetture teoriche si è scontrata più di una volta con la brutalità dissonante tratta dalle osservazioni reali. D’altronde, persino la Divina Commedia rispecchia questa tragica asimmetria; per il Sommo Poeta, l’inferno è comprensibile e descrivibile, ma il paradiso rimane inafferrabile e indefinibile. Il «trasumar significar per verba non si poria» (Paradiso I, 70) rimanderebbe incidentalmente al fatto che Schwarzschild significa “scudo nero”… che non si tratti di un limite invalicabile dove i nostri sogni di armonia s’infrangono?
(Da L’Osservatore Romano, Anno CLXIII, 2023, N.76 p. 4)