INTERVENTI

Giornata Mondiale dei Bambini: la Chiesa guidi la “rivoluzione della tenerezza”

interventi ‒ 02 giugno 2025

Il 30 maggio, si è svolto nell’aula Pio XI di Palazzo San Calisto un simposio, organizzato dal Pontificio Comitato per la GMB in preparazione alla Giornata del 2026, ed evento del Giubileo in corso. Il cardinale De Mendonça: “L’infanzia, nella sua realtà più nuda e fragile, deve essere assunta come un vero e proprio tema dalla teologia”.

 

La Giornata mondiale dei Bambini, voluta da Papa Francesco, è un accadimento che, per la prima volta nella vita della Chiesa, pone i bambini come soggetto della vita ecclesiale, come viva e chiassosa profezia del Vangelo”. Lo ha sottolineato il cardinale José Tolentino De Mendonça, prefetto del Dicastero per la Cultura e l’Educazione nella lectio magistralis letta da padre Antonio Spadaro, segretario dello stesso Dicastero, il 30 maggio, durante il simposio “La Chiesa dei Bambini - Verso la Giornata Mondiale dei Bambini” che si è svolto questa mattina, a Roma, nell’aula Pio XI di Palazzo San Calisto, nel cuore di Trastevere. Tutta focalizzata sulla “rivoluzione della tenerezza” e sui bambini, non secondari compagni sul cammino di fede della Chiesa, la relazione del porporato preceduta dai saluti di padre Enzo Fortunato, presidente del Pontificio Comitato per la GMB, che ha organizzato l'evento. L’occasione è stato il World Children’s Day, che si terrà a settembre del 2026, e il Giubileo delle Famiglie, dei Bambini, dei Nonni e degli Anziani, che inizia il 30 e si conclude domenica con la Messa che Papa Leone XIV presiederà, dalle ore 10.30, in Piazza San Pietro.

 

L'infanzia nell'alveo della teologia

 

Sulla vita dei più piccoli, la statistica riporta numeri “agghiaccianti”: “Circa 400 milioni di bambini vivono in zone di conflitto e 13mila muoiono ogni giorno per cause che potremmo evitare”, ha commentato padre Spadaro, a margine della lectio magistralis del cardinale De Mendonça. Secondo il porporato serve, dunque, una teologia inclusiva, che comprenda i bambini: “Troppe volte - riferisce ancora la sua lezione - nel corso della storia, abbiamo concepito la teologia come un discorso prevalentemente astratto, lontano dalla carne viva della storia. L’infanzia, nella sua realtà più nuda e fragile, può e deve essere assunta come un vero e proprio locus theologicus”.

 

L'alleanza tra Chiesa e famiglia 

 

Il posto legittimo dei bambini è, dunque, nel seno della teologia e nell’abbraccio spirituale della Chiesa. “I piccoli - ha detto Gleison De Paula Souza, segretario del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita - ci ricordano che la Chiesa è madre e in quanto tale si sente a tutti gli effetti responsabile della loro tutela, della loro protezione e della loro crescita umana e spirituale. È una missione che la Chiesa condivide con i genitori e le famiglie che stanno dietro a ogni bambino”.

 

Ogni bimbo è un seme che sboccerà

 

“Dalle mie latitudini - ha detto don Michele Gianola, delegato nazionale Cei per il Pontificio Comitato per la Giornata Mondiale dei Bambini, moderando gli interventi del simposio - si dice che sotto la neve c’è il pane, perché il seme posto nella terra è custodito dalla coltre di neve invernale finché sboccia in primavera. Infanzia e adolescenza vanno guardati in questa prospettiva, come dono e come compito: il compito di custodire e far sbocciare il seme di vita seminato in ogni bambino”.

 

L'infanzia, un'invenzione del Cristianesimo

 

La stessa infanzia, del resto, è novità antropologica introdotta nella storia proprio dalla Chiesa. “L’essere bambino è stato inventato nel I secolo d. C., quando i nuovi valori del Cristianesimo hanno separato adulti e piccini attraverso il concetto di pudore e quello di responsabilità”, ha spiegato la professoressa Marina D’Amato, docente di Sociologia dell’Infanzia all’Università di Roma Tre. "Nel Mondo antico precristiano le persone continuavano a fare, nella loro età adulta, le stesse cose che facevano da piccoli, senza pudore - ha proseguito la sociologa -. Il cristianesimo, poi, ha distinto un’età umana in cui non si ha la responsabilità delle proprie azioni, l’infanzia appunto, da quella in cui si è invece pienamente responsabili”.

 

Sotto le bombe a Gaza, in Sudan e in Ucraina

 

Uno sguardo sul mondo contemporaneo è stato offerto dalla scrittrice Dacia Maraini che ha evidenziato i troppi luoghi in cui i minori vengono tutt’altro che custoditi: “I bambini che muoiono sotto le bombe, a Gaza, in Sudan, in Ucraina, non sono solo tragedie lontane: sono ferite che incrudeliscono sull’umanità intera. Credo che la Chiesa, con Papa Francesco e oggi con Papa Leone, abbia avuto il coraggio di rimettere i bambini al centro del discorso etico. Ha avuto l’ardire – ha concluso la scrittrice - di mettere in risalto le loro ferite, di denunciare gli abusi, di confrontarsi con chi subisce e chi tace impaurito”.

 

Daniele Piccini | Roma | Vatican News

Lectio Magistralis del Cardinale José Tolentino de Mendonça

Simposio “La Chiesa dei bambini. Verso la Giornata Mondiale dei Bambini”

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ci incontriamo oggi in uno spazio privilegiato di ascolto, in una soglia che ci apre alla Giornata Mondiale dei Bambini. Questo evento, voluto dal Santo Padre Francesco, è un accadimento che, per la prima volta, pone con forza nella vita della Chiesa e del mondo la presenza dei piccoli non solo come “oggetto” della pastorale o della cura sociale, ma radicalmente come “soggetto” della vita ecclesiale, come viva e chiassosa profezia del Vangelo.

È una tensione spirituale e, direi, antropologica che deve accompagnarci sempre: imparare a vedere il mondo con lo sguardo dell’infanzia. Non c’è conversione più urgente, più profondamente cristiana e autenticamente umana, di questa. La scelta del Santo Padre è stata un gesto profetico, ricco di significati. I bambini sono epifania del Regno, portatori di una teologia «fondamentale», quella della fiducia e della fragilità, una teologia che il mondo adulto, nella sua fretta, nella sua ricerca di controllo, troppo spesso dimentica o rimuove.

 

1. Un Dio che si fa bambino: la rivoluzione della tenerezza

 

Noi cristiani confessiamo un mistero che sovverte ogni attesa, che capovolge ogni logica di potere e grandezza: confessiamo un Dio che si è fatto bambino. La nostra fede non nasce in un palazzo regale o su un trono potente. Nasce nel grembo di una donna e prende carne nelle fasce umili della mangiatoia. È lì, in quel gesto apparentemente insignificante, in quella vulnerabilità accolta, che inizia la rivoluzione della tenerezza.

Per questo, non possiamo pensare alla Chiesa dei bambini come a un ambito marginale, un’appendice pastorale o una nicchia di specialisti di pedagogia. Dobbiamo vederla come una Chiesa che si riconosce e si rinnova continuamente nel volto dei piccoli. Ogni bambino che nasce, anche il più fragile e indifeso, è un dono inestimabile per la famiglia e per l’umanità intera. Non è un’astrazione sociologica o un dato statistico, ma un appello concreto e urgente a rimettere al centro della nostra riflessione, della nostra azione pastorale e delle nostre prassi quotidiane coloro che il mondo, nella sua distrazione, troppo spesso considera inutili, senza voce, o addirittura scarta.

Ascoltare i bambini, dare loro voce, accogliere il loro sguardo, non è un gesto simbolico, una concessione gentile. È un gesto radicalmente ecclesiale. Essi possiedono un senso innato della verità, della giustizia, del dolore e dell’amore che noi adulti dobbiamo riscoprire e imparare a decifrare. Dobbiamo essere umili discepoli di questa “grammatica” fondamentale dell’esistenza. Sì, lo Spirito parla anche attraverso di loro. Non solo ai sapienti e ai dotti, ma ai piccoli del Regno (cfr. Mt 11,25). Le domande dei bambini sono senza filtri, senza fronzoli, senza vie di fuga. Sono domande dirette, brusche, chiare. Non ci si può rifugiare nella penombra dei concetti troppo astratti o nei ragionamenti cavillosi. Sono anche domande molto concrete (cfr. L’amore prima del mondo. Le risposte di Papa Francesco ai bambini, 2016).

 

2. L’emergenza del dolore innocente: il grido e il giudizio

 

Il nostro sguardo sull’infanzia non può essere ingenuo o idealisticamente astratto. Viviamo un tempo segnato da un dramma silenzioso e dilagante, un’emorragia di sofferenza. Milioni di bambini nel mondo affrontano ogni giorno l’orrore della guerra, la morsa della fame, l’abbandono più lacerante, la violenza più brutale. Le statistiche ci gridano questa realtà con numeri agghiaccianti: secondo l’UNICEF, più di 400 milioni di bambini vivono in zone di conflitto. Ogni giorno, 13.000 bambini sotto i cinque anni muoiono per cause che potremmo evitare. Sono bambini senza scuola, senza patria, senza voce.

Come può la Chiesa, corpo vivo di Cristo, tacere di fronte a questo grido straziante? Come può la nostra teologia, spesso così complessa, la nostra pastorale, le nostre liturgie, non sentire nel profondo l’urgenza di questo appello che sale dalla terra ferita?

Nell’immagine dei bambini migranti che fuggono dalla loro terra, nei piccoli soldati costretti a imbracciare armi che non dovrebbero nemmeno conoscere, nei minori sfruttati in ogni forma ignobile, nei corpi innocenti feriti dalla malnutrizione e dalla malattia, noi, con gli occhi della fede, non possiamo non riconoscere Cristo crocifisso. È un grido che non si ferma sulla terra, ma risale fino al cielo, ed è un giudizio severo su ogni forma di indifferenza, su ogni complicità silenziosa.

Noi non possiamo, non dobbiamo permettere che l’infanzia sia la prima vittima della nostra incapacità radicale di custodire il creato, di costruire la pace, di garantire l’equità sociale. Ogni bambino che soffre, ogni lacrima innocente versata, è una domanda diretta posta alla coscienza di ciascuno di noi e, in particolare, alla Chiesa: “Dove sei?”. È un novum, un elemento inedito e potente che irrompe nelle nostre sicurezze e ci costringe a ripensare l’ethos stesso della nostra presenza nel mondo.

 

3. L’Infanzia come luogo teologico: una teologia dell’essenziale

 

Troppe volte, nel corso della storia, abbiamo concepito la teologia come un discorso prevalentemente astratto, confinato nelle aule universitarie o nelle biblioteche, lontano dalla carne viva della storia, dalle pieghe concrete dell’esistenza umana. Ma l’infanzia, nella sua realtà più nuda e fragile, può e deve essere assunta come un vero e proprio locus theologicus.

È proprio nella fragilità radicale del bambino, nella sua dipendenza assoluta, nella sua sete spontanea di amore e di verità, che si manifesta in modo potente un tratto costitutivo dell’essenza stessa di Dio: la sua umiltà, la sua dipendenza – non da noi, ma dalla relazione trinitaria – e la sua fiducia nell’umanità. I bambini, nella loro esistenza così esposta, sono testimoni viventi di quel vincolo di amore indissolubile che è lo Spirito Santo tra il Padre e il Figlio. Non conoscono ancora l’arte subdola della dissimulazione, ma abitano con disarmante trasparenza la verità del cuore. Non sanno ancora fare i calcoli meschini della convenienza o del profitto, ma vivono spontaneamente nell’economia sovrabbondante dell’affidamento e del dono.

La teologia che nasce dall’infanzia, che si lascia interpellare dallo sguardo dei piccoli, è allora una teologia dell’essenziale. Non una teologia di grandi sistemi concettuali, ma una teologia del pane condiviso, del gesto semplice ma salvifico. È la teologia della carezza che consola nel dolore, della mano che si tende senza paura per aiutare, dell’attesa fiduciosa che non si spegne mai, anche nel buio. È, potremmo dire, una teologia sine glossa, come l’avrebbe intesa Francesco d’Assisi, che ci restituisce alla nudità evangelica dell’amore, all’essenzialità disarmante del messaggio di Cristo.

 

4. Una Chiesa che apprende dai piccoli

 

Abbiamo un bisogno profondo, come Chiesa, di imparare dai bambini. Essi sono i nostri maestri in quelle virtù che ci aprono al Regno: ci insegnano l’umiltà sincera, la gioia non artefatta, la fiducia incondizionata. Ecco, forse, la cifra più autentica della vera sinodalità: non è semplicemente un camminare insieme come fosse un’ordinaria processione, ma è il riconoscere, con umiltà, che anche i piccoli, con i loro passi incerti ma decisi, camminano con noi in questo pellegrinaggio di fede. E, sorprendentemente, a volte sono proprio loro, con la loro visione limpida e non contaminata, a guidare il passo della comunità.

La sinodalità non è riducibile a una mera metodologia ecclesiale o a una tecnica di partecipazione, ma sia invece una forma esigente di discepolato. In questa prospettiva, includere i bambini, accogliere la loro voce nel “cammino sinodale” che la Chiesa sta compiendo, non è un’eccezione alla regola o una concessione, ma un ritorno coraggioso alla fonte, all’origine stessa dell’esperienza cristiana.

Una Chiesa che non sa, o non vuole, ascoltare i bambini è una Chiesa che, tristemente, ha dimenticato come si ascolta la voce dello Spirito. Una Chiesa che non li lascia parlare, che li relega al silenzio o li considera solo destinatari passivi della cura adulta, è una Chiesa che ha smarrito il senso più profondo del proprio futuro. Perché i bambini non sono semplicemente “il futuro” in un domani lontano; i bambini sono il nostro presente vivo e pulsante, il seme di Regno già qui.

 

5. La mistica dell’infanzia: ripartire dal bambino

 

Vi è una verità profonda e commovente: quando nasce un bambino, in un certo senso, il mondo intero ricomincia perché alla nascita di un bambino il mondo non è mai pronto, come recita l'incipit di una lirica di Wisława Szymborska, premio Nobel per la poesia. C’è in quel piccolo essere una promessa di nuovo inizio, una possibilità intatta. Ecco la nostra chiamata, il nostro compito più urgente: far ricominciare il mondo dal bambino. È un invito a osare pensare un nuovo umanesimo, un modello di convivenza e di relazione che abbia l’infanzia non come un tema tra i tanti, ma come la sua grammatica fondamentale, il suo codice genetico.

C’è una mistica dell’infanzia che dobbiamo riscoprire nella nostra vita, nella nostra spiritualità, nella nostra azione pastorale. Una mistica che si manifesta nella capacità di piangere con chi piange, nella solidarietà spontanea. Una mistica che si rivela nella capacità di stupirsi ancora davanti a una formica che cammina sul sentiero o al volo di un uccello, un’attenzione ai piccoli segni che il mondo ci offre. Una mistica che si esprime nell’invocare il cielo con mani aperte, nella preghiera semplice e fiduciosa.

Questa, fratelli e sorelle, è la lingua del Regno. Questa è la lingua che Gesù stesso ha parlato, non solo con le parole, ma con i gesti, con la sua stessa presenza, nei cortili polverosi di Nazaret, accogliendo i bambini, benedicendoli, mettendoli al centro (cfr. Mc 10,14-16).

Il nostro tempo, segnato da ansie, conflitti e incertezze, non ha bisogno di una Chiesa più potente nelle strutture o più influente nel potere terreno. Ha bisogno disperatamente di una Chiesa più materna. Una Chiesa che sappia abbassarsi, che non abbia paura di farsi grembo accogliente per l’umanità ferita. Una Chiesa che sappia ascoltare non solo i grandi discorsi, ma anche il balbettio, le parole non formate, i silenzi pieni di significato del mondo e delle persone.

E che, soprattutto, sappia riconoscere nel pianto di un bambino – nel pianto di un bambino affamato, abbandonato, abusato, spaventato – la propria missione più alta e ineludibile: annunciare la gioia inaudita del Vangelo non con teorie astratte, ma nella carne viva dell’umanità.

Che questa Giornata Mondiale dei Bambini, dunque, non sia semplicemente un evento celebrativo. Che sia, piuttosto, una svolta profonda. Che sia l’inizio di una riforma radicale della Chiesa, una riforma che, seguendo il Vangelo e il magistero di Papa Francesco, sappia rimettere al centro la figura e la realtà dei piccoli. Ripartiamo da loro.